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IMPATTO DEL TURISMO ALPINO SUGLI ECOSISTEMI E NUOVE PROSPETTIVE

Articolo di Guido Barbero che ha seguito e completato il nostro corso di divulgazione scientifica

Il turismo alpino, invernale ed estivo, è andato rapidamente affermandosi dal 1800 in poi,
aggredendo via via gli ecosistemi e lasciando una pesante impronta.
Particolarmente rilevante è l’azione di disturbo in un ecosistema nei confronti di tutta la
fauna,
con gli animali selvatici abituati per loro natura a vivere liberi. Inevitabile la
progressiva perdita di biodiversità.
Occorre agire al più presto per arrivare ad un’inversione di tendenza.
La speranza ci viene da nuove forme di turismo che sembrano essere emergenti. Ma
soprattutto quale dovrà essere in primis il “motore” principale, l’artefice affinché questa si
verifichi?


Per arrivare ad avere una visione chiara e possibilmente approfondita degli argomenti trattati
occorre innanzitutto definire un “ecosistema”.
Gli ecosistemi
Per ecosistema s’intende un insieme naturale formato da una comunità di
organismi viventi e del loro ambiente fisico. Sono 2 componenti in stretta relazione. Un
ecosistema è sempre composto da una componente biotica e una abiotica.
Per comprendere l’impatto in questione occorre quindi tenere ben presenti le sue
caratteristiche fondamentali:
1) E’ un sistema aperto, fa quindi interscambi con l’ambiente esterno, essendo privo di alcun
tipo di barriere. In effetti è quindi interconnesso con altri ecosistemi.
2) E’ regolato da un equilibrio dinamico.
3) Al suo interno scorre un flusso di energia per l’interazione di tutti gli organismi con
l’ambiente esterno.

Esistono sulle Alpi, salendo di quota, ecosistemi alpini ancora incontaminati, in zone dove
l’uomo non ha ancora messo piede, modificatisi ed autoregolatisi nel corso della storia della
Terra solo per eventi naturali (glaciazioni, cambiamenti climatici ecc.). Sono quindi di per sé
fragili, soggetti ad erosione e franosità per lo scioglimento dei ghiacciai. Altri hanno subito
l’antropizzazione nel corso dei secoli e dei millenni quando sono stati interessati dai primi
insediamenti umani, dai percorsi dei viandanti, mercanti e pellegrini (le Alpi hanno sempre
unito) e dalle attività minerarie, quasi tutte ormai da tempi più o meno lontani abbandonate.
Tutte azioni dall’impronta sostanzialmente secondaria rispetto a quella turistica con le varie
attività/infrastrutture ad essa connesse.

Breve storia del turismo alpino invernale

E’ agli inizi del 1800 che viene inventato in Svizzera il turismo alpino invernale. St. Moritz era un piccolo villaggio di neppure 200
anime; nel 1832 viene inaugurato il primo albergo dotato di 6 bagni termali, nel 1870 conta
meno di 1000 turisti l’anno, nel 1873 i pernottamenti sono saliti a oltre 20.000.

I turisti scoprono che anche con la cattiva stagione si può guardare il cielo limpido e con una
buona coperta si può prendere il sole sulle terrazze, cercare emozioni scivolando con le
slitte sui campi di neve farinosa, la versione alpina dello zucchero filato. E così la moda del
“fuori stagione” prende piede. Non c’è niente di più provocante dell’erotismo della neve
soffiata dal vento e le curve delle signore sotto le gonne lunghe svolazzanti e i ceppi di
larice che bruciano nelle stufe mentre si danza a braccia scoperte…

Nel 1896 Adolf Kind porta a Torino 2 paia di “assi” di frassino ed inventa lo sci. Questo
sport, complice anche la I guerra mondiale, rimane per pochi, poi il fascismo lo promuove
e alla metà degli anni ‘30 arriva la prima città della neve: Sestriere. In seguito automobile
e sci divengono un binomio inscindibile e simbolo di modernità. Lo sci di massa inventa un’
altra montagna, trasformandola da luogo di vita a impianto, da ambiente a cornice, da
agglomerato storico a stadio d’alta quota.
Poi vengono altre località e villaggi-impianto e l’industria dello sci si potenzia
notevolmente nel secondo dopoguerra, raggiungendo il suo apice negli anni ‘60 fino a
stabilizzarsi e affrontare i primi periodi di crisi… (Camanni, 2017).
Ho ritenuto doveroso raccontare questa breve storia, che vede tra i suoi protagonisti pure il
cemento, le ruspe, le automobili, l’acciaio degli impianti di risalita (…ed oggi anche l’elisky)
per sottolineare sia la molteplicità degli effetti, sia la rapidità con la quale la crescita è
avvenuta e rendere realisticamente l’idea della dimensione dell’impatto.
Viene spontanea una constatazione: l’uomo da sempre, per sua natura, è alla ricerca di
emozioni e quando le trova si entusiasma. E’ quel che abbiamo appena visto scoprendo la
montagna d’inverno e lo sci; un nuovo slancio lo troverà poi con l’avvento delle automobili,
con le opportunità e i sogni di evasione da queste regalate. Ma quando ha iniziato ad
esagerare il gioco si è sempre fatto duro: l’ambiente è andato in sofferenza costringendolo a
correre con affanno ai ripari.
Ed al turismo invernale alpino per eccellenza è andato via via affiancandosi quello estivo, in
questi ultimi tempi in fase di crescita: un turismo attivo con escursionismo, trekking,
arrampicata sportiva, cicloturismo e …bike-park.

Impatto sulla fauna alpina ed effetti sugli ecosistemi

Vediamo ora nel dettaglio l’impronta lasciata dal turismo sugli ecosistemi alpini. Si possono fare due suddivisioni:
l’impronta dovuta alla semplice presenza dell’uomo e quella lasciata dal suo operare per la
costruzione delle infrastrutture.
Per comprendere la prima concentriamoci sugli esseri viventi ed in particolare sulla fauna,
quella degli animali selvatici (mammiferi e volatili), i più rappresentativi.
Occorre partire dalla loro etologia, la scienza che studia il comportamento animale nel loro
ambiente naturale. Come premessa è utile tenere in evidenza il concetto di “#benessere
animale”.
Questa tematica è venuta alla luce nel 1964 ed è stata sempre più presa in considerazione
arrivando nel 1979 ad essere definita come “stato di completa salute mentale e fisica nel
quale l’animale è in armonia con il proprio ambiente di vita”.
Queste le 5 libertà sulle quali si basa:
1) Libertà dalla fame, dalla sete e dalla malnutrizione
2) Libertà di vivere in un ambiente fisico adeguato
3) Libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie
4) Libertà di manifestare le sue caratteristiche comportamentali
5) Libertà dalla paura e dal disagio

Lo studio è riferito agli animali di stalla, ma a maggior ragione è chiaramente valido anche
per gli animali selvatici. Infatti se vivono in un ecosistema indisturbato, in completa sintonia
con esso non sentono la mancanza alcuna di queste libertà.
Bisogna quindi prendere atto che il turismo, con tutte le attività correlate, va ad interessare
in maniera considerevole molte di esse. Gli animali selvatici nascono liberi e vivono liberi.
L’uomo solo con la sua presenza può rappresentare una pesante minaccia quando
incomincia ad infiltrarsi nel loro ambiente. E questa è sempre più marcata perché il numero di turisti è in costante aumento. La prima conseguenza è la fuga che spesso finisce con
l’abbandono degli habitat.


Basti pensare come gli animali selvatici sono suscettibili agli avvistamenti (bisogna tenerli a
distanza, osservarli con un binocolo senza seguirli), quanto si spaventano per i rumori (che
percepiscono con estrema sensibilità), non solo delle auto o mezzi motorizzati, ma anche
semplici schiamazzi. E’ bene evitarli sempre, specialmente entrando in un bosco: possono
essere accucciati a riposare, accuratamente al riparo da occhi indiscreti.
Riferisce l’archeologa E. Marshall Thomas sulla base delle sue osservazioni sui cervi: … di
tanto in tanto qualche esemplare si avventura fuori dal bosco: non appena qualcosa non lo
convince scappa e rientra da un qualsiasi punto nel folto degli alberi e rallenta e si ferma
appena sa di non essere più visibile, salvo a un osservatore dotato di binocolo. Una volta al
sicuro ritorna a passeggiare tranquillo o si accuccia a riposare in cavità quasi invisibili
protette dai rami, eppure per loro ottimi punti d’osservazione… Mi stupisce sempre la loro
perspicacia e la conoscenza profonda che hanno dell’ambiente che li circonda.
Facendo le opportune valutazioni è il turismo invernale, fatto di sci e sci-alpinismo quello
che dà le maggiori criticità. Specialmente quest’ultima pratica può rivelarsi la più pericolosa
quando gli alpinisti escono dai loro percorsi consueti, toccando zone dove si sono abituati a
vivere gli animali scovando piccole aree in cui possono procacciarsi il cibo, caratterizzate da
particolari microclimi, magari rivolte a Sud. Qui, sotto gli alberi che, di solito, grazie al
loro colore scuro riescono a creare piccole tasche di calore alla base del tronco, vivono in
piccoli spazi liberi dalla neve. I rami sono abbastanza alti da lasciar filtrare i raggi del
debole sole invernale (E. Marshall Thomas).
Se costretti alla fuga gli animali perdono quindi la possibilità (già scarsa) di alimentarsi,
sprecano parecchie energie nonché la sostanza grassa accumulata d’estate: la loro
sopravvivenza diventa seriamente a rischio.
A soffrirne sono cervi, camosci, caprioli, stambecchi… ma soprattutto la lepre bianca, più
fragile e frequentatrice di zone e altitudini più alla portata degli sciatori-alpinisti.
Non solo i mammiferi ma anche alcuni volatili sono vittime di queste situazioni invasive di
disturbo a cominciare dalla pernice bianca ed il fagiano di monte, appartenenti alla
famiglia dei Tetraonidi. Sono uccelli delle zone nordiche che, grazie ad alcuni adattamenti
morfologici, riescono a sopravvivere senza migrare; costruiscono piccoli igloo negli anfratti
nevosi (che rischiano di vedersi distruggere) o si lasciano semplicemente ricoprire dalla
neve per proteggersi dal vento e dal freddo.
Passando infine alla seconda tipologia d’impronta, quella dovuta alle opere antropiche
(impianti di risalita, strade, residence ecc.), occorre in questo caso parlare di vera e propria
distruzione degli habitat e profondo sconvolgimento degli ecosistemi.
A subire effetti pesanti è anche la piccola fauna come rare specie di anfibi (rane, tritoni,
salamandre) e di insetti (coleotteri, lepidotteri) con le loro piccole “nicchie ecologiche” e
particolari microclimi.
Naturalmente il coinvolgimento riguarda anche tutta la fora alpina con varie specie protette
a rischio estinzione.
In queste condizioni, ad ambiente fisico stravolto, viene a cessare quell’equilibrio dinamico
esistente all’interno dell’ecosistema.
Ed a farne le spese è naturalmente la #biodiversità.


Nuove prospettive per il turismo alpino e possibilità di riduzione dell’impatto

E’ andata via via maturando in questi ultimi decenni la consapevolezza che occorre guardare aun nuovo tipo di turismo. Risale alla fine degli anni ‘80 una prima idea di #Turismo
ecosostenibile ratificata dal WTO, (Organizzazione Mondiale del Turismo) oggi incluso
nell’agenda 2030 dell’ONU. Il suo obiettivo è quello di “porre attenzione al rapporto tra tra
l’attività turistica e l’ambiente naturale, nella ricerca di un nuovo equilibrio, gestendo le
risorse in modo di soddisfare le esigenze economiche e sociali…”.
All’interno di esso sono sorte nel corso degli anni diverse declinazioni: “turismo
responsabile” (il turista nei suoi comportamenti pensa anche ai suoi effetti), “turismo green”
(preservazione della natura con particolare attenzione ai mezzi di trasporto e alle emissioni
inquinanti), “turismo slow o lento” (attento alle risorse locali, fatto “in punta di piedi” pronti
all’ascolto di quanto ci circonda ed alle emozioni provate). Potremmo anche chiamarlo
“turismo dolce, leggero”.
Paradossalmente, causa il cambiamento climatico e grazie ad una aumentata sensibilità dei
turisti verso l’ambiente, il turismo invernale, quello di massa, intensivo dei grandi
comprensori sciistici è in crisi: meno neve, alti costi di gestione.
L’indirizzo degli operatori del settore, delle associazioni e degli amministratori locali è
quello di proporre un modello alternativo basato su un’offerta estensiva estiva ed invernale.
E la domanda non manca, comincia a farsi strada il desiderio di nuove (ed anche semplici)
esperienze, fatte di conoscenza del territorio, dell’ambiente, delle comunità locali, proprio
mettendo in atto quelle forme di turismo appena elencate.


Riflessioni e conclusioni

L’impatto del turismo sugli ecosistemi è andato sempre in crescendo arrivando ad essere ben pesante su quelli alpini. Essendo tutte le Alpi interessate potremmo anche parlare di un unico grande ecosistema alpino.
Una buona opportunità per porre rimedio esiste: lo offrono le nuove forme di turismo.
La montagna non è un luna-park ma nemmeno un museo improntato sulla “wilderness
philosophy, del laissez faire la nature” o un santuario. La montagna ha bisogno dell’uomo.
(A. Salsa, 2013). In sostanza la montagna va vissuta, per non essere abbandonata (come ha
rischiato di esserlo in molte valli fino a pochi decenni fa) ed il turismo montano (per sua
peculiarità unico ed irrinunciabile) è anche uno dei “motori” della sua rinascita.
Esempi virtuosi già ne esistono (vedi la val Troncea, la val Maira, la val di Genova) dove si
promuove l’integrità ambientale vendendo silenzio, natura e quel… po’ di fatica che serve
per entrarci dentro (Camanni, 2017).
Per far sì che queste realtà diventino sempre più numerose, affinché le idee illuminanti di
alcuni si concretizzino sempre più anziché rischiare di volatilizzarsi, occorre focalizzarsi sul
“fattore umano”. Le leve sulle quali agire si chiamano formazione e senso
d’appartenenza.
Il senso d’appartenenza è quello dei suoi abitanti, i cosiddetti “nuovi montanari” che con
senso di consapevolezza e responsabilità verso i loro territori, sappiano essere i custodi ed
adoperarsi per la loro continua valorizzazione.
La formazione è quella per tutti, montanari e non, partendo dal basso già dai primi anni di
scuola presentando tutto l’ambiente montano, fisico e culturale, con tutte le sue risorse e
vulnerabilità. Si parlerebbe di un mondo semi-sconosciuto, non senza suscitare un
lusinghiero interesse. E servirebbe infine mettere in atto, con l’impegno e un po’ di coraggio
delle istituzioni, almeno a livello regionale, un innovativo percorso di studi ad hoc che
possa accompagnarli lungo tutto l’arco della carriera scolastica (istruzione secondaria ed
università).
Ne uscirebbero turisti responsabili ma anche “attori” (politici, operatori turistici,
amministratori locali) capaci di fare un positivo “gioco di squadra”. Un esempio rappresentativo ci viene da Bionaz in Valpelline con l’Associazione NaturaValp. Qui, nel 2012, un gruppo di imprenditori si è unito per dare un nuovo slancio all’economia del territorio.
Un ambiente senza impianti sciistici e con poche presenze annuali che, nel giro di una manciata di
anni e puntando sull’imprenditoria locale a sul valore della natura della zona, ha saputo ribaltare
la situazione trasformando il piccolo centro in un paradiso del turismo responsabile.
L’Associazione si sforza di sensibilizzare i visitatori sull’importanza della protezione dell’ambiente,
dell’utilizzo dei prodotti locali e del creare un rapporto tra ospite e comunità per aumentare
consapevolezza del valore culturale e biologico del territorio. NaturaValp si oppone allo sviluppo
di attività turistiche dannose all’ambiente, e sostiene coloro che rispettano l’autonomia della
popolazione locale nei processi decisionali legati al turismo
E’ auspicabile che questo, e pure qualche altro esempio possano essere trainanti per far sì che la
macchina del turismo “artigianale” possa continuare con successo la sua corsa a discapito del
turismo “industriale”.


Guido Barbero
dott. in Scienze e Cultura delle Alpi


Bibliografia
E. Camanni et altri – L’altro inverno sulle montagne del Piemonte – suppl. a Dislivelli.eu – Dic. 2017
A. Salsa postfazione in: Varotto M. (a cura di) La montagna che torna vivere – ediz. Nuova
Dimensione, 2013
E. Marshall Thomas – Con gli occhi di un cerbiatto – ediz. Longanesi – 2010
G. Barbero – Allevatori, pastori e margari: strategie innovative tra antropologia e turismo lento e
sostenibile sulle Terre alte dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea – Tesi di laurea UNITO 2014 – sintesi in
www.agraria.org rivista n° 239 del 01/09/2016
G.L. Gasca – Meridiani montagne/www.montagna.tv – 19/12/2021

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Autore

Etologa

Laurea Magistrale in Evoluzione del Comportamento Animale e dell'Uomo presso l'Università di Torino. Dopo aver svolto uno stage formativo presso il "Bioparc Valencia" (Valencia, Spagna) ed essere stata guida naturalista e ricercatrice presso "Monkeyland Primate Sanctuary" (Plettenberg Bay, Sudafrica), ha ricoperto il ruolo di Wildlife Manager presso "Kids Saving the Rainforest - Wildlife Sanctuary and Rescue Center" (Quepos, Costa Rica). E' stata finalista nazionale del contest di comunicazione scientifica "Famelab 2018" ed ha partecipato come relatrice a TEDxRovigo 2019. Dal 2019 è guida escursionistica ambientale certificata e socia della Società Italiana di Etologia. Nel 2020 ha ottenuto l'attestato FGASA come guida safari in Africa e il certificato di Track and Sign da Cybertracker level I. Attualmente si occupa di divulgazione scientifica presso l'Associazione ETICOSCIENZA. Da marzo 2021 è stata nominata all'interno del Consiglio di Amministrazione del Bioparco di Roma.

chiaragrasso.eticoscienza@gmail.com