Articolo di Nicole Santi, che ha seguito il corso di “Comunicazione e divulgazione scientifica” e quello di “Principi dell’Etologia Etica“, interamente online e organizzati dalla nostra Associazione.
———————-
Condividere la propria vita con gli animali è un’usanza estremamente diffusa in tutto il mondo. Una statistica australiana condotta dalla società PetSecure attesta che più della metà dei nuclei famigliari americani condividono la loro casa con almeno un cane o un gatto, in Australia metà delle persone che non hanno animali affermano che vorrebbero averne uno. Avere animali comporta delle responsabilità, significa conoscere i loro bisogni e assicurarsi che questi vengano soddisfatti il più possibile. Ma quando possiamo dire che un animale sta veramente bene? Quali sono i criteri per valutare il benessere dell’animale?
Introduzione
Quando, dopo un lunghissimo processo evolutivo, comparse per la prima volta sulla terra l’Homo sapiens (parliamo di circa 300’000 anni fa) non era solo. Un grande quantitativo di specie animali e vegetali occupavano già il pianeta. La convivenza tra Uomo e animali non è quindi una novità, bensì un rapporto che è iniziato nella notte dei tempi. Quello che è variato, però, è il tipo di relazione instaurato tra animali umani e non. Inizialmente gli animali per l’Homo sapiens assumevano unicamente due valori: nutrimento o pericolo. Con il tempo si è poi sviluppato un approccio diverso, l’essere umano si è accorto che alcune specie avrebbero potuto dargli dei vantaggi e cominciò così il processo di domesticazione. Questa associazione spontanea tra animali ed esseri umani è la conferma che adottare e condividere lo spazio con gli animali è un’antica forma di comportamento umano. È stato dimostrato, infatti, che condividere gli spazi con loro aumenta il nostro benessere emotivo e psicologico. Dobbiamo però anche chiederci: siamo sicuri che valga lo stesso discorso dal punto di vista degli animali? Hanno davvero bisogno della nostra presenza?
Benessere animale: welfare e welbeing
Il benessere animale viene categorizzato sostanzialmente in funzione di due approcci:
* Welfare: soddisfacimento dei bisogni fisiologici, di sopravvivenza e di sicurezza. Il benessere viene stabilito in funzione dello stato di salute clinico dell’animale
* Welbeing: soddisfacimento dei bisogni istintivi, biologici, sociali, psicologici e di sviluppo personale. Si va a toccare la sfera psico-fisica, stiamo parlando di esistenza e non più di sola sopravvivenza!
Qui è necessario fare una considerazione legata alle predisposizioni specie – specifiche. Per quanto riguarda gli animali domestici, che generalmente sono per natura predisposti a relazionarsi e interagire con l’Uomo, è realistico pensare di poter offrire loro welfare e welbeing. Il welfare è infatti orientato alla cura quotidiana mentre, essendo intrinseco nella loro natura convivere con l’essere umano, diventa anche più facile soddisfare la sfera del welbeing. Non vale assolutamente lo stesso discorso per gli animali selvatici (per natura non ha nessuna indole a vivere a contatto con l’uomo) o addomesticati (la specie in se è selvatica, ma un individuo è stato inserito e abituato ad un ambiente controllato di origine antropica). Per queste due categorie possiamo garantire il welfare, ma, proprio perché, per definizione, sono animali che devono vivere liberi nel loro habitat naturale, è impossibile offrire loro un welbeing completo!
Le 5 libertà (tradotto dall’inglese The 5 Freedoms)
Le 5 libertà sono le libertà che un animale deve poter avere al fine di soddisfare tutti i suoi bisogni naturali e appagare così completamente la sfera del welfare (bisogni fisiologici, di sopravvivenza e sicurezza)
1. Liberi da paura e stress: l’animale deve sentirsi a proprio agio nell’ambiente in cui viene inserito, per tanto dev’essere esente da potenziali pericoli. Nelle specie molto territoriali lo stress può essere indotto dalla presenza di altri individui in uno spazio insufficiente.
2. Liberi da fame e sete: deve essere sempre esserci acqua fresca a disposizione e la dieta deve essere orientata ai bisogni specie – specifici
3. Liberi da disagio/scomodità: condurre la propria esistenza in un ambiente appropriato, completo di luoghi in cui ritirarsi per riposare e nascondersi
4. Liberi da dolore, ferite e malessere: offrire una buona assistenza veterinaria quando se ne verifica la necessità
5. Liberi di esprimere il proprio repertorio comportamentale, ovvero il proprio etogramma: avere a disposizione sufficiente spazio, arricchimento ambientale (quindi stimoli sociali, ambientali, cognitivi,…), compagnia di altri individui nel caso di specie sociali.
Strumenti per misurare welfare e welbeing
Per sapere se un animale sta bene veramente è necessario conoscere i suoi bisogni biologici ed etologici specie – specifici. Questo vuol dire che bisogna sapere quale sarebbe lo stile di vita ottimale per la specie considerata nel caso in cui l’uomo non sia presente. Inoltre esistono dei parametri misurabili che possono aiutare a determinare il livello di benessere e sono
1. Parametri fisiologici e
2. Parametri comportamentali.
I parametri fisiologici possono essere in certi casi ingannevoli ed è bene prestare attenzione. Ad esempio il livello di cortisolo viene spesso associato al livello di stress. Quando l’animale viene spostato in un altro ambiente non consono ai suoi bisogni si stressa e comincia a produrre cortisolo innalzandone il livello, il processo di abituazione all’ambiente però inibisce la produzione di cortisolo, conseguentemente ne risulta un livello basso nonostante l’animale si trovi comunque in una condizione di malessere.
I parametri comportamentali risultano essere solitamente più affidabili. Gli animali che non stanno bene cambiano il loro comportamento, quindi se il loro etogramma è ben conosciuto è possibile determinare eventuali variazioni in un ambiente controllato. I comportamenti considerati appartengono sostanzialmente a 3 categorie:
1. Comportamenti di mantenimento (esplorazione, comportamento sociale, territorialità, riposo, …)
2. Comportamenti di riproduzione (corteggiamento, cure parentali, …)
3. Comportamenti espressivi di dolore (dilatazione delle pupille, andatura, …)
Un cambiamento nel comportamento normale dell’animale ci dà l’indicazione che qualcosa non va e conseguentemente il suo benessere è compromesso. Dobbiamo quindi imparare a diventare abili osservatori, conoscere il comportamento normale per saper riconoscere eventuali comportamenti anormali.
I comportamenti anormali: indice di scarso benessere
I comportamenti più diffusi negli animali la cui origine è data da una scarsa o addirittura pessima qualità di vita sono i seguenti:
* Stereotipie: comportamenti eseguiti ripetitivamente senza interruzione, il comportamento in se fa parte dell’etogramma della specie ma viene presentato fuori dal contesto abituale e ad una frequenza estremamente più alta. La funzione del comportamento non è quella originaria presente nell’etogramma, bensì l’unica valenza è quella di scaricare lo stress accumulato. Esempi: ondeggiare, compiere ripetutamente lo stesso percorso, morsicare un oggetto, masticare, grattarsi.
* Comportamenti diretti verso se stessi: leccare o mangiare oggetti solidi, automutilazione, mangiare la terra, aggressività verso se stessi
* Disfunzioni biologiche: ad esempio impotenza maschile
* Inadeguatezza delle cure parentali: rigetto dei neonati, uccidere i piccoli, cannibalismo materno
* Reattività anomala: inattività, immobilità, iperattività.
Conclusione
Nel caso di animali domestici è fondamentale informarsi prima su quali sono i bisogni biologici ed etologici specie – specifici in modo da essere sicuri di riuscire a soddisfarli adeguatamente una volta che l’animale entra a far parte della nostra vita. Se prendiamo come esempio il cane, oltre a mangiare, dormire e fare i propri bisogni ha anche altre necessità. Tra queste ritroviamo sicuramente sviluppare una rete sociale, avere dei contatti con i membri della famiglia, svolgere delle attività di tipo cognitivo che gli permettano una sorta di auto-realizzazione.
Per quanto riguarda gli animali selvatici e/o addomesticati invece la questione è un po’ diversa. Dal momento in cui un animale selvatico o addomesticato viene tenuto in un ambiente controllato, quindi non nel suo habitat naturale, è fondamentale assicurarsi che il suo benessere sia il migliore possibile. È una responsabilità dell’Uomo creare le condizioni ottimali affinché l’animale possa sodisfare i bisogni etologici e fisiologici necessari sia sul piano fisico (welfare) sia sul piano psico-fisico ed emotivo (welbeing). Questi animali dovrebbero essere ritrovati solamente negli zoo o nei bioparchi e il fine ultimo deve essere volto alla conservazione delle specie minacciate dal rischio di estinzione. Sono quindi specie che necessitano dell’intervento dell’Uomo per mezzo di progetti e interventi mirati a preservarne il patrimonio genetico e permettere quindi la salvaguardia della specie.
Nei bioparchi gli spazi adibiti agli animali sono progettati da etologi, biologi e naturalisti in funzione dei bisogni specie – specifici. Fortunatamente gli zoo che operano nel rispetto dei bisogni etologici degli animali stanno aumentando sempre più e i migliori godono del riconoscimento da parte di EAZA (european association zoo and aquarium). Capita ancora però di imbattersi in video pubblicati su social network che ritraggono animali che non hanno la possibilità di ritirarsi dallo sguardo del pubblico e presentano gravi stereotipie. Gli spettatori spesso non si rendono conto della sofferenza patita dagli animali e frequentemente segnali di malessere vengono interpretati nel modo sbagliato. Un valido contributo di tutti noi è quello di segnalare video simili che si trovano in circolazione, effettuare una recensione negativa allo zoo in questione e, in caso di episodi ricorrenti, segnalare il caso a organizzazioni competenti in materia, come ad esempio WWF o EAZA. I social network sono uno strumento estremamente efficiente se utilizzati correttamente: facciamo in modo che queste tecnologie ci permettano di segnalare abusi e malessere nel mondo animale!
A cura di Nicole Santi
Bibliografia e sitografia
* C. Grasso e C. Lenzi, Corso di formazione online “Principi dell’etologia etica”, settembre 2018
* A. Pinto – Poutton, “Animal Welfare”, Wakan Tanka Publishers, prima edizione 2010
* A. Beetz, K. Uvnas-Moberg, H.Julius; Psychosocial and Psychophysiological Effects of Human-Animal Interactions: The Possible Role of Oxytocin; pubblicato da Frontiers in psychology il 9 giugno 2012
* M. Hennessy et al; Plasma Cortisol Levels of Dogs at a County Animal Shelter; pubblicato da Physiology and Behavior, vol. 62, settembre 1997, pp. 485-490
* https://www.petsecure.com.au/pet-care/a-guide-to-worldwide-pet-ownership/
* https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3408111/
Seguici sui socialArticolo scritto da un nostro associato o un collaboratore esterno dell’Associazione ETICOSCIENZA
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.