Ogni volta che visito la famosa mostra fotografica “World Press Photo” provo un misto di eccitazione e timore.
Chi ne ha mai preso parte sa, infatti, che WPP è una rassegna fotografica dedicata al reportage in tutte le sue inclinazioni, le cui immagini denunciano, portano alla luce e testimoniano realtà di cui spesso ignoriamo l’esistenza o riteniamo accadere solo nei luoghi martoriati dalla guerra.
Fortunatamente o meno, dipende dai punti di vista, c’è sempre una sezione dedicata alla Natura ed al modo in cui ci stiamo rapportando (male).
Quest’anno tra gli scatti che più mi hanno colpito compaiono quelli dell’olandese Jasper Doest, in cui la (dis)umanizzazione del macaco giapponese (macaca fuscata) veste kimono a fiori.
Sarumawashi, letteralmente “scimmia che danza”, nasce come rituale religioso finalizzato a proteggere i cavalli dei guerrieri prima della battaglia, salvo poi divenire una vera e propria forma di intrattenimento da strada diffusissima nel Sol Levante.
Tale pratica sembra scemare all’inizio degli anni ’70, quando la diffusione delle automobili e il cambiamento degli stili di vita cittadini rendono difficile garantire l’incolumità delle scimmie. Al termine dello stesso decennio viene però fondata un’associazione con l’obiettivo di riportare alla ribalta questa antica tradizione, al punto di essere insignita del prestigioso premio “Art Prize” nel 1991; premio sponsorizzato direttamente dalla Culture Agency del governo nazionale.
Infatti, nonostante una legge in vigore dal 1947 regoli la tutela del macaco giapponese, gli spettacoli vengono tuttora apprezzati in quanto considerati non nocivi per l’animale.
Per i più appassionati di calcio o per i sostenitori dei diritti degli animali, la presenza dei macachi sotto i riflettori non è del tutto nuova: appena l’anno scorso, in occasione della J-League (campionato giapponese), è stato proprio un macaco a guinzaglio a dare il calcio di inizio. Ce n’era davvero bisogno?
Ma non pensiamo che le scimmie vengano utilizzate solo nei grandi eventi nipponici. Non è difficile trovare siti specializzati nell’organizzazione di feste per bambini che propongono pacchetti intrattenimento con scimmia inclusa.
Infine, com’è possibile leggere dalle didascalie che accompagnano gli scatti, i macachi coinvolti in questi shows vengono trattati come “figlioli”. Nessuno lo mette in dubbio, ma se ciò potrebbe sollevare per un attimo il lettore dal peso dei maltrattamenti, la realtà è che gli addestramenti non importa che siano veicolati da rinforzo positivo o negativo. Si tratta sempre di addestramenti a scopi ludici per il divertimento umano. Si tratta di privare un animale selvatico della sua Natura, della sua dignità e della sua etologia, obbligandolo ad un’interazione innaturale per scopi inutili e discutibili.
Soprattutto l’umanizzazione, i vestitini, le parrucche e le treccine privano l’animale della sua più rispettabile qualità: la diversità dalla specie umana.
A cura di Teresa Costabile
Seguici sui socialArticolo scritto da un nostro associato o un collaboratore esterno dell’Associazione ETICOSCIENZA