Articolo di Silvia Ilacqua, nostra associata che ha superato con successo il corso di formazione in Comunicazione e Divulgazione Scientifica.
Oggi piú che mai il tema della gestione del cavallo in box o in gestione naturale è sotto discussione. Numerosi proprietari, a causa delle misure restrittive sul Covid-19 si sono trovati da un giorno all’altro a non poter più andare dal cavallo scuderizzato in box, per garantirgli l’adeguata attività motoria. Ció ha spinto molti ad interrogarsi a 360° sulla gestione scelta per i propri cavalli e ad elaborare eventualmente delle alternative, che trovano la loro massima soluzione proprio nella gestione naturale. Molti cavalli trascorrono la maggior parte del loro tempo in un box. Questo tipo di scuderizzazione, come già numerose volte dimostrato da ricerche scientifiche nel campo dell’etologia e della veterinaria, non combacia con i bisogni naturali e le esigenze etologiche del cavallo, sfociando spesso in problemi psico-fisici (insorgenza di stereotipie, comportamenti di automutilazione e problemi gastrointestinali.) Ad aiutarci però a fare maggiore chiarezza su quale sia la strada migliore da intraprendere nella gestione del cavallo c’è un ulteriore campo di studio, ovvero quello dell’evoluzione degli equidi, in particolare lo sviluppo dell’arto monodattilo e la comprensione di cosa ha spinto gli equidi a sviluppare questa straordinaria struttura. I primi equini, antenati dell’attuale Equus caballus sono apparsi durante il Pliocene inferiore, circa 5 m.a. fa , nell’area dell’America Settentrionale. Durante quell’epoca geologica il continente Euroasiatico era ampiamente popolato dal genere Hipparion, un ramo evolutivo di Equus, caratterizzato da un arto unguligrado tridattilo (a tre dita). L’anatomia di tale arto vedeva solo la falange centrale (la terza) poggiare a terra mentre le altre due laterali entravano in gioco per sostenere l’Hipparion durante la corsa e il salto, per evitare un eccessiva distensione del pastorale. Questa specie grazie al clima mite e umido che favoriva la presenza delle foreste, si cibava prevalentemente delle foglie di piante boscose (browsing) e solo parzialmente pascolava (grazing) e non aveva la necessità di percorrere grandi distanze poiché l’habitat in cui viveva era ricco delle risorse trofiche di cui aveva bisogno (Fig. 1).
Fig.1 Fossile di Hipparion – Ghedoghedo / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)
Il continente Americano, in particolare l’area della America Settentrionale a differenza dell’area Europea stava fronteggiando un clima più estremo, sempre più arido che aveva portato ad una drastica riduzione delle foreste a favore di ambienti aperti quali la prateria, è proprio in questo contesto che si sviluppò il cavallo. La crescente aridità rese il cibo più scarso e fibroso, a questa condizione però i precursori di Equus caballus grazie allo sviluppo dell’arto monodattilo seppero rispondere perfettamente. Infatti l’arto dell’attuale cavallo è un sistema straordinario di muscoli e tendini che conferiscono un grande capacità ammortizzante degli urti. In particolare il sistema di tendine flessore superficiale e profondo insieme ai legamenti sesamoidei e al tendine interosseo permettono alla giunzione del nodello di arrivare sotto sforzo, ad una flessione tale da creare un angolo eccezionale di 90°. Durante questo tipo di attività il pastorale, grazie a questo sistema di legamenti, diventa una sorta di ammortizzatore. Il tendine interosseo assorbe energia e la cede elasticamente dando al cavallo una spinta dall’alto verso il basso sostenendolo nelle lunghe distanze, rendendo quindi il trotto l’andatura più efficace e sostenibile a livello metabolico. Questo incredibile sistema si è sviluppato per permettere al cavallo di ricoprire grandi distanze, spinto dalla necessità di aumentare il tempo di roaming (il tempo di movimento per la ricerca di cibo), a causa di un ambiente che stava diventando di tipo pre-desertico. Quando il precursore del cavallo moderno arrivò in Eurasia attraverso l’istmo di Bering sapeva già fronteggiare un clima più estremo a causa dell’adattamento avvenuto in America. Pertanto quando circa 2,5 m.a. fa in tutto il globo si verificò un raffreddamento del clima ed una riduzione delle foreste a favore delle praterie, questa specie che mostrava tutti i caratteri di un pre-adattamento soppiantò l’Hipparion.
Il cavallo moderno, apparso 1,2 m.a. fa, a differenza di quanto si tende a credere, non nasce quindi per adattarsi meglio alla fuga ma nasce per coprire grandi distanze (Fig.2).Fig.2 Foto di alcuni cavalli ferali fotografati nei pressi dello Stone Cabin HMA in Nevada (USA) – realizzata dal Dott. Luca Gandini – Barefoot Horse Italia
http://www.barefoothorseitalia.it/PhotoAlbums/introduttive/DSC_3561_2_3_tonemapped.jpg
Sebbene il corrispettivo selvatico del cavallo domestico sia estinto, le attuali ricerche sugli individui ferali ci dimostrano che questi condividono lo stesso ambiente di quello evolutivo, in termini di habitat e nicchia ecologica . Le ultime ricerche effettuate nel campo del monitoraggio delle distanze percorse dai cavalli ferali, attraverso l’uso dei moderni sistemi di GPS, ci confermano quindi anche l’esigenza intrinseca di percorrere molti chilometri per raggiungere le risorse trofiche. Tra le ricerche più importanti c’è quella condotta dal professor Henning e i suoi colleghi in America, che con un sistema GPS a collare applicato su 9 cavalli rinselvatichiti di età maggiore o uguale a 5 anni hanno registrato gli spostamenti nel periodo tra il 15 Maggio e il 15 Settembre 2017. Dai dati è emerso che la distanza media giornaliera era di circa 9 chilometri. Comparando questi risultati con quelli di altre ricerche effettuate con il metodo di tracking GPS, è stata osservata una distanza percorsa giornaliera di circa 16 chilometri nei cavalli ferali Australiani (Hampson et a. 2010) e di circa 9 chilometri per i Cavalli di Prewalsky in Mongolia (Kaczensky et al. 2008). In quest’ultimo studio è stata analizzata anche la distanza percorsa dagli asini Asiatici selvaggi che arrivavano a camminare anche per 13 chilometri al giorno per raggiungere la fonte d’acqua. Nonostante le ricerche siano state condotte su individui e branchi geograficamente molto lontani tra loro, questi mostrano quindi una tipologia di ambiente comune di tipo pre-desertico o semi-desertico.
Pertanto la comprensione dei bisogni spaziali e ambientali unita ai fattori che hanno spinto l’evoluzione del cavallo moderno, rimasto strutturalmente e funzionalmente identico da 1,2 milioni di anni a questa parte, non solo ci dimostrano come sia una necessità intrinseca di tale specie quella di percorrere svariati chilometri per accedere alle risorse trofiche, ma si pongono anche come chiave di lettura per una presa di consapevolezza sulle reali esigenze del cavallo e su come soddisfarle (Fig. 3).
Fig.3 Cavalli in gestione naturale con Track System e distribuzione delle risorse per agevolare l’attività motoria – Foto di Luigi Guerino Borgis http://www.cascinasoleverde.it/paddock-paradise.html
Silvia Ilacqua, laureata in Scienze Geologiche e specializzanda in scienze naturali.
Bibliografia
Hennig J. D.; Beck J. L.; Scasta, J. D.; 2018. “Spatial Ecology Observations From Feral Horses Equipped With Global Positioning System Transmitters,” Human–Wildlife Interactions: Vol. 12 : Iss. 1, Article 9. DOI: https://doi.org/10.26077/z9cn-4h37
Janis C. M.; Bernor R. L.; 2019. “The Evolution of Equid Monodactyly: A Review Including a New Hypothesis”. Front. Ecol. Vol., 12 April 2019 DOI: https://doi.org/10.3389/fevo.2019.00119
Kaczensky P.; Ganbaatar O.; Von Wehrden H.; Walzer C.; 2008. “Resource selection by sympatric wild equids in the Mongolian Gobi” Journal of Applied Ecology 2008, 45, 1762–1769 DOI: 10.1111/j.1365-2664.2008.01565.x
Sitografia
Immagine di copertina: https://pixabay.com/images/id-1747368/
Fig.1 Ghedoghedo / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)
Fig.2 Foto del Dott. Luca Gandini
http://www.barefoothorseitalia.it/PhotoAlbums/introduttive/DSC_3561_2_3_tonemapped.jpg
Fig.3 Foto di Luigi Guerino Borgis http://www.cascinasoleverde.it/paddock-paradise.html
Seguici sui socialArticolo scritto da un nostro associato o un collaboratore esterno dell’Associazione ETICOSCIENZA