Articolo di Caterina Vio, associata e collaboratrice dell’Associazione ETICOSCIENZA
“Il DNA di ogni essere umano è diverso da quello di uno scimpanzé o di un bonobo per una percentuale pari solo all’1,2. ”
Nonostante il DNA sia una misura obiettiva (il che lo rende immune al pregiudizio), quante persone quando leggono o sentono pronunciare questa frase provano disagio perché trovano ridicola, se non inaccettabile, l’idea di essere così intrinsecamente ed inevitabilmente simili ad una “grossa scimmia pelosa che si pulisce il sedere con una foglia” ? E se queste stesse persone sapessero che nel 2007 al Primate Reseach Institute di Kyoto un giovane maschio di scimpanzé ha addirittura umiliato la mente umana dimostrando di avere una memoria fotografica migliore della nostra1? E’ probabile che almeno in alcuni di questi uomini e donne il disagio si tramuti in vergogna e incredulità, fino ad arrivare alla negazione più assoluta: “una scimmia non può essere migliore di noi in qualcosa– nemmeno in una. L’ uomo è un essere speciale, è superiore agli animali”.
Premettendo che di fatto anche l’essere umano è un animale, per quanto speciale egli sia, questo articolo si pone come obiettivo quello non di sminuire né tantomeno offendere l’uomo, ma semplicemente quello di far riflettere sul fatto che per troppo tempo ci siamo posti in cima allascalanaturae2 sulla base di criteri decisi solo e soltanto da noi stessi; l’evoluzione poi non è affatto una scala al cui vertice è posta una sorta di creatura suprema, ma è fatta di tanti rami e collegamenti.
Tuttavia, ammettiamo per un attimo che la storia evolutiva si sia svolta seguendo una scala crescente di creature sempre migliori: sulla base di quale parametro ci saremmo noi all’apice di tutto? Sicuramente non per la memoria come emerge da quanto riportato poco fa (nella letteratura scientifica, ma non solo, si trovano altri esempi di animali dotati di una memoria eccezionale). Anche se consideriamo le capacità sensoriali, ad esempio, non risultiamo di certo la specie migliore: il nostro sistema uditivo non percepisce gli ultrasuoni, mentre quello dei delfini e dei pipistrelli sì; non vediamo la luce infrarossa, mentre gli elefanti lo fanno; abbiamo una percezione dello spazio e del tempo molto inferiore rispetto agli uccelli migratori; al buio ci muoviamo con difficoltà, mentre altre specie riescono benissimo a riconoscere gli oggetti anche nell’oscurità più profonda. Ma come potrebbero logicamente desumere molte persone, queste sono tutte abilità proprie degli animali, cioè convenientemente riunite nel grande insieme degli “animali” – come se il mondo si riducesse
tutto in un “noi contro loro” e l’essere umano fosse in altri termini una singola luce splendente in quel buio cielo intellettuale che è il resto della natura.3Meritiamo dunque di essere la creatura superiore a tutte le altre per la nostra razionalità e la nostra civiltà? Dopotutto ci chiamiamo Homo sapiens sapiens.
Concentriamoci un attimo sul nome: la prima parola, che possiede sempre la prima lettera maiuscola, indica il genere, mentre la seconda, scritta in minuscolo, indica la specie. La somiglianza genetica tra noi e gli scimpanzé è del 98% e un tale livello di somiglianza dovrebbe prevedere
l’appartenenza ad un gruppo filogeneticamente compatto, cioè allo stesso genere. In effetti Linneo classificò inizialmente lo scimpanzé Homo troglodytes, annotando che le due specie, sapiens e troglodytes (noi e gli scimpanzé) erano molto affini; in seguito fu proposto il nome Pan, con cui attualmente si indica il genere dello scimpanzé e del bonobo, per tracciare una linea di demarcazione fra noi e loro.4Quando, tuttavia, mezzo secolo fa le ricerche sul DNA rivelarono che gli esseri umani non differiscono abbastanza dai bonobo e dagli scimpanzé per meritare un genere a sé, i tassonomisti, per ragioni storiche, ci permisero di tenere il genere Homo tutto per noi.5
Per quanto riguarda il termine indicante la specie, è certamente curiosa la ripetizione di sapiens, che potrebbe essere legata al salto evolutivo della nostra specie che, rispetto a quello delle precedenti, deve essere subito apparso eccezionale, quasi miracoloso. Ciò nonostante, considerando il significato del termine sapiens, questa sottolineatura appare priva di senso, poiché “il sapiente” dovrebbe essere colui che giunge al vertice dell’umanità con comportamenti privi di qualsiasi aporia. Inoltre, se “sapienza” significasse “perfezione”, ci troveremmo di fronte una grande contraddizione derivante dall’indiscutibile predisposizione dell’uomo agli errori, cosa che invece manca nella società delle termiti per esempio, e agli altri insettisociali.6
Insomma, di sicuro non siamo perfetti e forse nemmeno così tanto sapienti, e se lo siamo non lo dimostriamo abbastanza, come si evince da molti esempi della storia passata e dell’attualità.
Una volta, mentre parlavo con degli amici riguardo uno degli esami di ecologia che dovevo sostenere
all’università, mi è stato chiesto, con fare scherzoso, se io studiassi la spazzatura (riferendosi all’ecologia). C’è una definizione molto bella che Darwin usava per parlare di quella che oggi chiamiamo ecologia (termine inventato poco tempo dopo da Ernst Haeckel): “economia della natura”. Noi parliamo di economia per riferirci alle nostre attività, a come produciamo e
consumiamo acquisendo crediti e contraendo debiti; l’economia della natura ha a che fare con cose simili, perché anche in natura ci sono produttori e consumatori, e i sistemi naturali funzionano in un modo simile a quelli economici7… O è il contrario? Chi c’era prima? Noi o il resto della natura? La risposta è ovvia. All’inizio della nostra storia evolutiva noi eravamo cacciatori-raccoglitori e vivevamo secondo le regole naturali, in armonia con gli ecosistemi. Poi abbiamo iniziato a coltivare cereali e allevare animali, così da avere le risorse necessarie alla nostra sopravvivenza sempre disponibili: avevamo capito come ingannare la natura. Poi abbiamo cambiato parola, e “economia della natura” è diventata “ecologia”. Probabilmente sarebbe stato meglio se avessimo mantenuto lo stesso termine: sarebbe rimasto evidente lo stretto legame dell’uomo con la natura, delle due economie.
L’uomo ha creato leggi diverse da quelle naturali, ma si è dimenticato che alla fine le sue regole sono soggette a quelle della natura. Sembra così ovvio: se le leggi dell’economia e quelle della natura entrano in conflitto, quali prevarranno? Basta questa domanda per zittire anche il più irremovibile degli economisti. Perché se superiamo un certo limite, la natura ci si ritorce contro, anche in termini economici: se si costruisce una ferrovia su un terreno franoso, non ci si può stupire e lamentare se viene portata via. Era meglio risparmiare i soldi che sono serviti a costruirla e quelli che serviranno successivamente a sistemare il terreno di quel disastro naturale, no? E’ troppo comodo dire che la natura è cattiva solo perché non fa quel che ci attendiamo.8
Siamo parte della natura, dal nostro DNA fino al mondo che abbiamo costruito con le nostre leggi e che vorremmo mantenere così gelosamente sotto il nostro esclusivo controllo. Non possiamo credere che tutti gli altri animali siano a priori esseri totalmente distaccati da noi e per questo inferiori, e non possiamo credere che tutto ciò che esiste sia lì al nostro servizio e fare quello che ci pare. Dobbiamo conoscere la natura e rispettarla, adattarci ai suoi ritmi o quanto meno restituirle ciò che prendiamo in quantità troppo grandi o troppo rapidamente. Dobbiamo conoscere le sue leggi e costruire le nostre in base alle sue, perché vengono prima.
Caterina Vio
1De Waal (2016)
2La scala naturale degli antichi greci, che fa una graduatoria di tutti gli organismi dal basso all’alto, fino agli esseri umani, che sono i più vicini agli angeli.
3De Waal (2016)
4Boero (2012)
5De Waal (2016)
6Andreoli (2018)
7Boero(2012)
8Boero(2012)
BIBLIOGRAFIA:
Vittorino Andreoli “Homo stupidus stupidus – L’agonia di una civiltà”, Rizzoli (2018)
Ferdinando Boero “Economia senza natura – La grande truffa”, Codice Edizioni(2012)
Frans De Waal “Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?”, Raffaello Cortina Editore (2016)
Articolo scritto da un nostro associato o un collaboratore esterno dell’Associazione ETICOSCIENZA